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Istanza di fallimento dopo la riforma

Settembre 29, 2023by Redazione
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Istanza di fallimento dopo la riforma. Guida completa alla procedura: giurisdizione e competenza, forma e presupposti, tempi e costi dell’istanza

L’istanza di “fallimento o, meglio, l’istanza di “liquidazione giudiziale, seguendo la nuova denominazione introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Decreto Legislativo n. 14 del 12.01.2019), è la domanda, da presentarsi con ricorso al Tribunale competente, per accedere alla predetta “procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza”.

La “liquidazione giudiziale”, infatti, in grandissima parte perfettamente sovrapponibile al “vecchio” fallimento, è solo una delle possibili procedure di regolazione della crisi che il nostro Legislatore ha previsto per le imprese insolventi e si affianca (senza pretesa di esaustività) a:

  1. a) il piano attestato di risanamento;
  2. b) gli accordi di ristrutturazione;
  3. c) la convenzione di moratoria;
  4. d) il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione;
  5. e) il concordato preventivo;
  6. f) la liquidazione coatta amministrativa.

Nello specifico, la liquidazione giudiziale consiste in una procedura concorsuale (alla quale possono accedere tutti i creditori del debitore) rivolta, appunto, alla “liquidazione” del patrimonio dell’imprenditore insolvente, con successiva ripartizione del ricavato in favore dei creditori intervenuti secondo la graduazione dei rispettivi crediti (prededucibili, privilegiati e chirografari).

Da un’attenta disamina dell’intero impianto normativo delineato e codificato nel C.C.I.I. può facilmente evincersi che il Legislatore abbia inteso e disciplinato la predetta procedura quale ultima e residuale ipotesi, allorché non siano perseguibili, ovvero siano state perseguite senza esito, diverse procedure di regolazione della crisi conservative dell’attività d’impresa.

Quando tali rimedi devono considerarsi inefficaci, infatti, al fine di tutelare, per quanto possibile, le ragioni creditorie, non resta altro da fare che cessare l’attività d’impresa (tale cessazione non necessariamente deve coincidere con la dichiarazione di apertura della procedura) e provvedere alla liquidazione dei beni.

Giurisdizione e competenza

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha previsto, per tutte le procedure di regolazione della crisi, la giurisdizione italiana nel caso in cui l’imprenditore coinvolto nella procedura abbia il proprio “centro degli interessi principali” nel territorio italiano, ovvero anche qualora detto “centro degli interessi principali” sia all’estero ma l’imprenditore abbia una dipendenza in Italia.

Per “centro degli interessi principali” deve intendersi, a norma dell’art. 2 lett. m) del C.C.I.I.: “il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”.

Il Tribunale competente è quello nel cui circondario l’imprenditore ha il proprio centro d’interessi, come sopra individuato.

Tale centro d’interessi si presume coincidente (salvo prova contraria), sia per la persona fisica che per la persona giuridica esercente attività d’impresa, con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell’attività abituale.

Solo per la persona giuridica ed ove risulti sconosciuta la sede effettiva dell’attività, la competenza si radica in relazione alla residenza od al domicilio del legale rappresentante e, se sconosciuti, con l’ultima dimora nota ovvero, in mancanza, con il luogo di nascita. Se è nato all’estero, la competenza è radicata presso il Tribunale di Roma.

Si consideri, infine, che il trasferimento del “centro d’interessi” nell’ambito del territorio italiano, ovvero all’estero, non rileva ai fini del radicamento della competenza ovvero della sussistenza della giurisdizione se compiuto nell’anno antecedente il deposito della domanda.

Forma

Il Legislatore ha previsto quale modalità di accesso a tutte le procedure di regolazione della crisi (e, quindi, anche per l’istanza di liquidazione giudiziale) il medesimo modello processuale, ovvero il “ricorso” indicato nell’art. 40 C.C.I.I..

Tale ricorso, sempre a norma del citato art. 40 C.C.I.I., può essere presentato:

  • dal debitore;
  • da un creditore;
  • dal pubblico ministero;
  • oppure da soggetti che “hanno funzioni di vigilanza e di controllo sull’impresa

E deve indicare l’ufficio giudiziario, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni.

Solo il debitore può stare in giudizio personalmente (ciò per non aggravarne ulteriormente la situazione di insolvenza), mentre per gli altri soggetti (ad esclusione, ovviamente, del pubblico ministero) è necessario che siano rappresentati da un difensore munito di relativa procura.

Presupposti dell’istanza di “fallimento”.

Per poter accedere alla procedura di liquidazione giudiziale il Legislatore ha previsto la simultanea sussistenza di un presupposto “oggettivo” e di un presupposto “soggettivo”.

Il presupposto oggettivo è ovviamente lo stato di insolvenza.

Per quanto attiene al presupposto “soggettivo, a norma dell’art. 121 C.C.I.I., possono accedere alla liquidazione giudiziale solo gli imprenditori commerciali (e, quindi, non gli imprenditori agricoli), che “non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d)” ossia di essere un’impresa minore.

 

L’impresa minore non soggetta al fallimento è appunto ai sensi dell’art 2 , comma 1, lettera d) quella che ha “1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila;

E’, altresì, previsto che tali valori possano essere aggiornati con decreto del Ministro della giustizia.

Il dato normativo sembrerebbe suggerire (“…non dimostrino”), altresì, che per poter accedere alla citata procedura non solo non debba trattarsi di un’“impresa minore”, così come definita dal Codice, ma anche che il relativo onere probatorio in relazione all’eventuale insussistenza di tali requisiti ricada sul debitore stesso.

La giurisprudenza, tuttavia, si è assestata su una posizione più “mite” rilevando che i poteri officiosi d’indagine tributaria e previdenziale concessi al Tribunale debbano sovrapporsi all’onere probatorio posto a carico del debitore, con ciò ritenendo di delimitare l’ambito di applicazione della procedura de qua agli imprenditori nei cui confronti “non si palesi il possesso congiunto dei requisiti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d)”, cioè, al di là dell’eventuale attività probatoria svolta sul punto dal debitore e all’esito degli accertamenti officiosi che concernono direttamente anche tale profilo.” (cfr. Tribunale di Catania, Sezione Fallimentare, 12.01.2023, Pres. Sciacca, Giud. Rel. Est. Ciraolo).

Siffatta “interpretazione” appare assolutamente più conforme ai principi ed alla ratio ispiratrice del Codice, improntata, seppur attraverso l’istituzione di un procedimento “unitario” (almeno in prima istanza), alla realizzazione di una pluralità di istituti rivolti alla regolazione della crisi e dell’insolvenza complessivamente considerata.

Procedura

Il Codice ha improntato la procedura di liquidazione giudiziale su esigenze di celerità e speditezza.

Depositato il ricorso di cui all’art. 40 C.C.I.I. avente ad oggetto la domanda di apertura della liquidazione giudiziale, il Tribunale deve convocare le parti entro 45 giorni dal predetto deposito.

Solo qualora il ricorso sia depositato dal debitore, la cancelleria ha l’obbligo di trasmetterlo al Registro delle Imprese per la relativa iscrizione. Ciò avviene solo nell’ipotesi in cui sia il debitore stesso a chiedere l’accesso alla procedura, poiché prevederne la trasmissione e l’iscrizione anche nell’ipotesi in cui la richiesta provenisse da altri soggetti avrebbe consentito ad eventuali azioni infondate di produrre grave e, con ogni probabilità, irreparabile danno all’impresa.

Quando la domanda è proposta da soggetti diversi dal debitore, il ricorso ed il decreto di convocazione devono essere trasmessi al debitore all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal Registro delle Imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti. L’esito della comunicazione deve essere trasmesso al ricorrente con le medesime modalità.

In via residuale, qualora la predetta notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo per cause imputabili o meno al destinatario, i commi 7) (“causa imputabile al destinatario”) ed 8) (“causa non imputabile al destinatario”) dell’art. 40 del Codice prevedono diverse ed ulteriori forme di notifica (telematiche e non).

L’art. 41 co. 2) del Codice prevede, espressamente, che tra la data della notifica e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a 15 giorni.

Il debitore può costituirsi fino a sette giorni prima dell’udienza depositando le scritture fiscali e contabili obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e l’ulteriore documentazione prevista dall’articolo 39 C.C.I.I.

La cancelleria, depositata la domanda, ha l’obbligo di acquisire telematicamente dalle banche dati dell’Agenzia delle Entrate, dell’Inps e del Registro delle Imprese tutti i dati ed i documenti relativi al debitore.

E’, altresì, consentito l’intervento dei terzi che hanno legittimazione a proporre domanda fino al momento in cui la causa non sia rimessa al collegio per la decisione (art. 41 co. 5) C.C.I.I.).

La rinuncia alla domanda comporta l’estinzione del procedimento, a meno che non vi sia la volontà dei terzi intervenuti alla prosecuzione. Nel dichiarare l’estinzione il Tribunale può condannare alla refusione delle spese la parte che vi ha dato causa.

L’eventuale apertura della procedura di liquidazione giudiziale è disposta con sentenza, con il predetto provvedimento il Tribunale, ravvisati i presupposti per l’accesso alla procedura e sempreché dall’istruttoria sia emerso che l’ammontare complessivo dei debiti scaduti e non pagati non sia inferiore ad Euro 30.000,00, nomina il giudice delegato ed il curatore, con la possibilità di nominare uno o più esperti per l’esecuzione di compiti specifici del curatore (art. 49 co. 3 lett. b) C.C.I.I.).

E’ assolutamente indispensabile, quindi, perché si addivenga alla sentenza dichiarativa di apertura della liquidazione giudiziale che emerga, nell’ambito ed all’esito della suddetta fase “istruttoria” (ovvero dal deposito della domanda all’eventuale sentenza), che l’ammontare complessivo dei debiti scaduti non sia inferiore ad Euro 30.000,00.

Non è necessario, tuttavia, che il suddetto importo (o superiore) corrisponda al credito vantato dal soggetto (diverso dal debitore) che deposita l’atto di impulso della procedura, ma deve addivenirsi alla prova positiva della sussistenza, legittimamente acquisita, di debiti (a prescindere da chi siano i soggetti titolari della relativa pretesa) il cui importo complessivo sia superiore a tale somma (cfr. Cass. 14 Novembre 2017, n. 26926).

Tali debiti, come detto, almeno nella citata misura, devono sussistere non già al momento della proposizione della domanda, bensì al momento in cui il Tribunale è chiamato a pronunciarsi su quest’ultima (cfr. Cassazione Civile, sez. I, 24 ottobre 2022, n. 31353 – Pres. Cristiano, Rel. Abete.).

Ove, al contrario, sulla base degli atti dell’istruttoria “prefallimentare”, ci sia incertezza circa il raggiungimento della suddetta soglia di esposizione debitoria, non si può addivenire ad alcuna sentenza dichiarativa di apertura della liquidazione giudiziale.

È chiaro che nulla esclude che tali debiti maturino successivamente alla chiusura del procedimento, in considerazione della difficoltà economica nella quale già si trova il debitore – tale da aver indotto il suo creditore a promuovere forse “prematuramente” l’istanza di fallimento – che consentirebbe di instaurare un nuovo procedimento.

Costi

L’istanza di liquidazione giudiziale, salvo le esenzioni previste dalla legge (ad esempio per i lavoratori), sconta un contributo unificato in misura fissa dell’importo di Euro 98,00, oltre al pagamento della marca da bollo di Euro 27,00.

Considerazioni finali

Come abbiamo avuto modo di spiegare, affinché si giunga ad una sentenza dichiarativa di apertura della liquidazione giudiziale (già sentenza di fallimento) è necessario che il debitore abbia dei debiti complessivi almeno pari o superiori a 30.000,00 euro.

E come si avrà modo di capire, il raggiungimento di questa soglia (non particolarmente alta), purtroppo, non è difficile da raggiungere per un imprenditore, soprattutto alla luce della continua crisi economica che da anni travolge il nostro paese.

Inoltre, molto spesso la “minaccia” di una procedura di liquidazione giudiziale viene utilizzata dai creditori come strumento di pressione del proprio debitore, sicuramente anomalo, ma ahimè efficace, a totale vantaggio del primo e del tutto compromettente dell’attività dell’altro.

È quindi necessario che l’imprenditore/debitore sia pronto e preparato a trovare soluzioni alla propria situazione debitoria in tempi rapidi al fine di scongiurare una procedura che il più delle volte si rivela una vera e propria carneficina (in termini di svendita degli immobili all’asta e svendita dei beni appartenenti al fallito).

Una buona difesa può, in questo senso, sia preventivamente che successivamente al fallimento non solo evitare che la procedura venga attivata (magari tramite accordi con i creditori e dilazioni di pagamento) ma anche far si che i diritti del fallito vengano rispettati secondo la procedura prevista dalla legge.

Avv. Roberto Solombrino

(collaboratore dello Studio d’Ambrosio Borselli)

 

Per approfondimenti sulla domanda di insinuazione al passivo nella liquidazione giudiziale con termini, costi, forma e procedura e differenza tra domanda tempestiva, tardiva e ultra-tardiva si legga “Domanda di insinuazione al passivo ex art. 201 C.C.I.I.,”

Per una guida completa al nuovo concordato preventivo: a partire dai suoi presupposti, con finalità e procedura dalla domanda all’omologazione e la differenza fra concordato in continuità e liquidatorio si legga Nuovo concordato preventivo: presupposti, finalità, procedura”

In altri articoli abbiamo avuto modo di trattare, la nuova procedura di “liquidazione giudiziale” (ex “fallimento”) delle imprese insolventi, indicandone i presupposti, la procedura, gli organi (con particolare attenzione alla figura del “Curatore”), i tempi ed i relativi costi. (Si legga al riguardo “Liquidazione giudiziale e fallimento: tempi, costi procedura,” e “ Il Curatore nella liquidazione giudiziale”)

Per conoscere tutte le modifiche introdotte dalla L.n. 176 del 2020 (anticipatoria del nuovo codice della crisi) alla L.n. 3 del 2012 si legga “Approvato il nuovo sovraindebitamento o anche Guida alla riforma del sovraindebitamento: il merito creditizio ed ancora “Piano del Consumatore e pignoramento: l 14/19 procedura, durata”.

Per approfondire le tre procedure di composizione della crisi e le differenze tra le stesse si legga” Sovraindebitamento: Il Piano del Consumatore, l’Accordo con i Creditori e la Liquidazione del Patrimonio, procedure e differenze”  “Guida al Sovraindebitamento: Il Piano del Consumatore, l’Accordo con i Creditori e la Liquidazione del Patrimonio, differenze tra le tre procedure, Il piano del consumatore per bloccare il pignoramento immobiliare e salvare casa”, “Documenti per la ristrutturazione dei debiti del consumatore”,

Per approfondire l’eccezionale risultato ottenuto dallo studio che, tra le altre, ha recentemente ottenuto l’omologa di un piano del consumatore proposto in corso di pignoramento, salvando in tal modo la casa del debitore, con il pagamento del solo 37% del mutuo originariamente dovuto in 7 anni da parte sua si legga “Omologato piano del consumatore in corso di pignoramento immobiliare”

Per approfondire la tematica della sospensione della procedura esecutiva a seguito dell’introduzione di una delle procedure previste dalla legge 3/2012 si legga anche “La sospensione dell’esecuzione con l’introduzione della procedura da sovraindebitamento ex L. 3/2012” e “Procedure di esdebitazione e pignoramento immobiliare

Per approfondire i costi e i tempi delle tre Procedure di Composizione della Crisi da Sovraindebitamento si legga Sovraindebitamento: tempi e costi delle tre procedure”

Per  il tema dell’ammissibilità di una seconda procedura quando sia stata dichiarata inammissibile una procedura nei cinque anni precedenti si legga “Il sovraindebitamento può essere riproposto nel quinquiennio se la domanda era stata dichiarata inammissibile”

Per approfondire il tema del reclamo al collegio esperibile avverso il rigetto del piano si legga “Reclamo al collegio avverso rigetto del Piano del consumatore: termini, costi, poteri del Collegio, in particolare sulla sospensione della procedura esecutiva immobiliare pendente, con provvedimento di sospensione e modello di reclamo”

Chi fosse interessato al nuovo  fondo Salvacasa   finalmente approvato e che promette ed indica una direzione nuova (e più attenta alla posizione dei debitori esecutati) del nostro legislatore nella gestione dei crediti in sofferenza e delle relative esecuzioni immobiliari legga “Il nuovo fondo Salvacasa! Articolo 7.1 della l. 130/1999 modificato dall’art. 1 comma 445 della l.160/2019: Testo e commento”

Per saperne di più sul pignoramento immobiliare e sulle possibili opzioni a disposizione dei debitori in difficoltà per salvare il proprio immobile si legga anche l’articolo «Pignoramento immobiliare costi e tempi con tutte le modifiche aggiornate- Soluzioni per Salvare casa»

Per saperne di più sul pignoramento immobiliare illegittimo si legga l’articolo “Pignoramento immobiliare illegittimo: cosa fare?”

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Avv. Edgardo Diomede d’Ambrosio Borselli

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